Nutrirsi bene, restare in forma e oggi soprattutto dimagrire, aumentare il tono muscolare e gustare e godere del cibo e della cucina è possibile.

Ogni giorno e in ogni casa è possibile scegliere il gusto e il benessere rispettando l’individualità di ciascuno.

L’analisi dell’infiammazione da cibo, chiamata anche intolleranza alimentare, e di tutti i disturbi e le malattie con questa correlati ha portato a comprendere l’importanza di controllare con l’alimentazione le citochine infiammatorie che agiscono sull’organismo come veri e propri messaggi e segnali, che determinano effetti sul metabolismo, sul sistema immunitario, sul sistema neuropsichico e su quello ormonale.

Attraverso il cibo è possibile determinare cambiamenti in qualsiasi apparato o sistema dell’organismo.

La possibilità di misurare citochine infiammatorie come BAFF e PAF (e presto TNF-alfa e Interleuchina 6 – IL6) e soprattutto di definire per ogni persona infiammata il Profilo Alimentare Personale (capendo quali cibi sono usati in eccesso) ha aperto nuove strade per orientare in modo individuale le scelte alimentari e poter prevenire e curare un vasto numero di malattie e disturbi o, ancor meglio, per mantenersi sani.

Qualità del cibo

Si tratta di una delle più importanti sfide degli ultimi anni. Il fatto che l’uso di cibi di buona qualità produttiva svolga un ruolo protettivo sulla salute e di prevenzione di numerose malattie è già stato dibattuto a lungo negli anni passati.

Ogni volta che si inseriscono nella propria alimentazione alcuni cibi “sani” (come frutta e verdura, cereali integrali, pane integrale, pesce, latticini freschi, latti o bevande vegetali, semi oleosi non tostati) si ottiene un miglioramento dei rischi statistici di ammalarsi di malattie cardiovascolari, metaboliche e tumorali.

Nel lavoro pubblicato ancora nel 2002 su International Journal of Epidemiology gli autori hanno potuto verificare in chi assumeva quotidianamente tra 9 e 17 alimenti sani, una mortalità (indipendentemente dalla causa) del 42% più bassa rispetto a chi ne assumeva un numero inferiore (Michels KB et al, Int J Epidemiol. 2002 Aug;31(4):847-54).

Una tazza di cereali integrali con semi oleosi e latte di soia, accompagnata da pane integrale con una composta di frutta senza zuccheri aggiunti, preceduta da un frutto, rappresenta già una ottima partenza per rientrare nella statistica considerata.

Controllo dei picchi glicemici e dell’insulina

Una delle dinamiche nutrizionali che più di tutte porta all’ingrassamento e allo sviluppo di citochine infiammatorie è quella dei picchi glicemici, che arrivano da una inadeguata utilizzazione degli zuccheri presenti negli alimenti.

Quando si mangiano dei carboidrati a rapido assorbimento, come la caramella, la pasta bianca o il pane raffinato, gli zuccheri presenti nell’alimento passano molto velocemente nel sangue portando a una condizione di “iper-glicemia” e ad una intensa secrezione di insulina (per abbassare la “glicemia”).

La quantità di insulina è tale da portare gli zuccheri nel sangue ad un livello ancora più basso di quello da cui si era partiti prima della introduzione di cibo, causando la così detta “ipo-glicemia reattiva”.

Questo stato “ipoglicemico” induce una crescita dell’appetito che porta (dopo 20-60 minuti dall’assunzione dello zucchero precedente) alla ricerca di ulteriore nutrimento (di solito altro zucchero), facendo entrare in un circolo vizioso di fame, iperglicemia e ipoglicemia reattiva.

Purtroppo, quando l’insulina è in eccesso, lo zucchero appena mangiato e che fa passare da stato iperglicemico a ipoglicemico finisce per lo più in grasso.

Inoltre, questo ciclico alternarsi di iperglicemia e ipoglicemia, tipica dei picchi glicemici di chi mangia zuccheri a rapido assorbimento (o ad alto impatto glicemico), è tra le condizioni che più predispongono al diabete di tipo 2, quello che si caratterizza da un’insulina che, pur presente, non riesce a comunicare con le cellule con cui dovrebbe.

È come se i recettori presenti sulla membrana delle cellule si rifiutassero di comunicare con una molecola che hanno visto con troppa frequenza per troppo a lungo.

Per ridurre questa oscillazione della glicemia e dell’insulina, che spesso viene segnalata da una emoglobina glicata vicino al limite e da glicemie troppo spesso vicine ai 100 (95-97-101…, normali ma segnaletiche) o da trigliceridi decisamente elevati (non dipendono dai grassi, dipendono dall’eccesso di carboidrati raffinati e zuccheri), è indispensabile applicare delle semplici regole, in particolare l’uso dell’integrale, il bilanciamento di carboidrati e proteine nello stesso piatto e l’uso di una quantità corretta di proteine ben distribuite nella giornata.

Uso dell’integrale

Per controllare la maggior parte dei picchi glicemici appena descritti, basterebbe sostituire la propria pasta, il proprio pane e comunque i propri farinacei, con le loro controparti integrali.

Quando gli zuccheri o gli amidi vengono mangiati accompagnati da una parte di fibra e di proteine, infatti, il loro assorbimento risulta più lento e l’ingresso nel sangue più delicato. Il picco è così molto più gentile, ottenendo come conseguenza un miglior controllo dell’appetito e minori effetti collaterali dovuti sia alla ipoglicemia che alla iperglicemia.

Una farina integrale ben fatta arriva a contenere anche il 14% di proteine (nel caso della quinoa, mentre una classica farina di frumento integrale si aggira di solito attorno al 12-13%) oltre che una quantità di fibra rilevante.

Ecco che il semplice accorgimento di scegliere l’integrale per la propria quotidianità riesce a prevenire un bel po’ di problemi tra cui sicuramente l’ingrassamento eccessivo, ma anche i cardiovascolari, i metabolici, e i neurodegenerativi (ad esempio Parkinson e Alzheimer) per cui iperglicemia e ipoglicemia reattiva sono fattori di rischio.

Non a caso sono più d’uno gli studi che evidenziano una riduzione della mortalità per tutte le cause in chi fa uso di cereali integrali.

Basta pensare che ogni 28 grammi di cereali integrali mangiati in un giorno (in confronto a 28 grammi di cereali o farine raffinati) produce un 5% in meno di mortalità per tutte le cause e un 9% in meno di mortalità cardiovascolare. Se si immagina cosa possa rappresentare il fatto di mangiare un panino raffinato o al confronto un panino integrale in termini di aumento del rischio c’è da ragionare per il prossimo acquisto al bar.

Il meccanismo di controllo dei picchi glicemici è ancora meglio implementato quando il carboidrato integrale all’interno del piatto è a sua volta abbinato a fibra, grassi buoni e proteine. Quando, ad esempio, la pasta è condita con un buon ragù ricco della sua componente proteica, il primo sia abbinato al secondo, oppure, addirittura, il biscotto integrale fuori pasto sia mangiato con qualche buona noce (o con un uovo sodo).

Queste scelte danno eccellenti risultati sia in termini di miglior controllo dell’appetito che di migliorato benessere generale e di forma fisica.

Zucchero, dolcificazione e dolcificazione artificiale

Uno dei trend sociali attualmente in maggior crescita nella cultura occidentale è, finalmente, di potere controllare l’impiego della dolcificazione e di regolare l’impiego dello zucchero in quanto tale.

Conoscere se ciò che si mangia è davvero “sugar-free” o se è stato addizionato di maltitolo, di concentrati di frutta (che sembrano naturali ma sono comunque una dolcificazione a base di fruttosio concentrato) o di altro ancora sta diventando un diritto cui sempre più vaste aree di consumatori non vogliono rinunciare.

Negli ultimi anni si è capito che lo zucchero crea dipendenza, che può sviluppare infiammazione e diventare causa della cascata di disturbi che ne dipendono, e si è arrivati a capire che non è neppure lo zucchero in sé a determinare questo danno, ma che basta il gusto dolce, anche dovuto a dolcificanti ipocalorici, a provocare questa sequenza di eventi.

Mentre l’uso occasionale del dolce, con la preparazione di dolci buoni e ben fatti anche utilizzando zucchero nelle sue diverse forme, è una parte importante della vita e risponde a bisogni primordiali dell’uomo che meritano di essere rispettati, l’uso e l’abuso del dolce, per chi abbia già sviluppato fenomeni di resistenza insulinica e non faccia nulla per modificarla, meritano un certo livello di cautela.

Le persone più a rischio sono i depressi, i diabetici, gli obesi, chi ha una familiarità diabetica, un elevato livello di infiammazione da cibo, chi consuma abitualmente una quantità eccessiva di carboidrati rispetto alle proteine e chi ha uno stile alimentare caotico e disordinato, che possono vedere la ricerca di un sollievo alla malinconia attraverso un maggiore consumo di dolci, per trovarsi a riscoprire che proprio il consumo di dolci induce e sostiene questa stessa malinconia.

C’è la possibilità invece di attivare attraverso alcuni “trucchi” alimentari i meccanismi che consentono di fermare questa deriva, con la giusta attività fisica, il corretto bilanciamento di carboidrati e proteine in ogni pasto (basta aggiungere delle noci o delle mandorle ad un dolce per migliorare il rapporto tra questi due componenti) e il mantenimento di una buona prima colazione, tutti strumenti spesso già sufficienti a impedire il “craving“, cioè la ricerca continua ed eccessiva di certi cibi.

In definitiva, mentre l’uso occasionale di un dolce complesso, buono e gustoso, soprattutto in vicinanza di un pasto completo, non ha caratteristiche di pericolo, la ripetuta dolcificazione inutile, la puntina di zucchero nel caffé o il dolcificante a zero calorie messo nel tè, rappresentano un segnale grave di alterazione del metabolismo ripetuto nel tempo.

Corretta distribuzione dei pasti nella giornata: importanza della prima colazione

La prima colazione, fatta entro un’ora dal risveglio oppure subito dopo avere completato l’attività fisica del mattino (fatta in genere a scorte piene e a stomaco vuoto), rimane uno dei pasti più importanti per il corretto equilibrio del metabolismo.

L’orario è quello in cui tutti gli ormoni dell’organismo sono rivolti a utilizzare l’energia e a trasformarla in muscolo o a disperderla in calore. Quindi può essere importante e ricca.

La cena invece impatta nel momento di maggior risparmio energetico dell’organismo e la cena ricca favorisce l’accumulo del grasso di scorta.

A parità di calorie introdotte nella giornata, chi usa più calorie durante la prima colazione, facendola diventare il pasto principale della giornata e riducendo la quantità di calorie assunte per cena, avrà una riduzione del 20% della glicemia durante tutta la giornata e in modo specifico una riduzione del 20-23% della glicemia successiva al pranzo, cioè a notevole distanza dalla prima colazione.

Dare all’organismo un doppio segnale di questo tipo (prima colazione ricca e cena ridotta o povera) consente di determinare nell’organismo una risposta che va al di là del valore di glicemia studiato in uno specifico momento, ma agisce sul metabolismo di tutta la giornata.

La prima colazione dovrebbe rendere conto del 40-45% delle calorie introdotte nella giornata, il pranzo del 35-40% e la cena solo del 25%.

Costruire ogni pasto bilanciando vegetali, carboidrati e proteine

Dopo anni di critiche piramidi alimentari, negli ultimi anni si è capito finalmente che ogni pasto (compresa la prima colazione) deve essere bilanciato correttamente tra proteine, carboidrati integrali e frutta e verdura.

A fronte di due fette di pane integrale serviranno due uova sode e 4-6 noci affiancate da 1 carciofo e due albicocche (a titolo di semplice esempio).

La tradizione dei piatti unici a livello internazionale (dalla paella allo spezzatino con polenta, alla pasta con le sarde) ripercorre già in parte queste scelte strategiche.

La giusta quantità di proteine, distribuita in ognuno dei tre pasti

Una persona sana del peso di 70 chili che voglia perdere massa grassa, o restare in salute, ha la necessità di mangiare  65-70 grammi di proteine durante una intera giornata.

Si tratta di una quantità che non può e non deve essere utilizzata solo in un pasto (come fa a cena la maggior parte degli italiani), ma distribuita durante l’intera giornata, possibilmente integrando altri cibi ricchi di proteine come cereali integrali, uova e semi oleosi fin dall’inizio della giornata, nella giusta quantità e valorizzando anche le proteine vegetali.

Poi, è indispensabile distribuire questi grammi di proteine, bilanciati nel modo corretto con carboidrati integrali e verdura, in ognuno dei tre pasti della giornata. Nell’esempio appena fatto, dovendo mangiare circa 70 g di proteine in una giornata, è utile che queste siano distribuite in modo simmetrico, con 25 g al mattino, 25 g al pomeriggio e infine 20-25 g alla sera (bilanciando il piatto con volumi simili di carboidrati complessi e di verdura).

Non è lo sproloquio di qualche fanatico, ma finalmente l’affermazione, misurata e documentata, pubblicata sul Journal of Nutrition, che chiarisce una volta per tutte che lo stimolo alla crescita muscolare (quindi al consumo di calorie e al dimagrimento) si ottiene distribuendo le proteine della giornata in modo corretto in tutti e tre i pasti della giornata.

Se si mangia tutto alla sera il muscolo non può crescere e il metabolismo non viene attivato.

Per molti anni lo studio del metabolismo si è concentrato sulla importanza della quantità da introdurre nell’organismo.

Crudo, vivo e colorato

Per chiedere a bambini e adulti  di mangiare un pezzetto di verdura o di frutta cruda prima di ogni pasto.

Una tecnica non disturbante con importanti funzioni antiallergiche, antinfiammatorie e di controllo dell’appetito. Una abitudine salutare che può riservare sorprese di recupero da molte patologie a volte complesse.

Vale lo stesso per altre due importanti funzioni complementari ad una buona nutrizione.

Bere acqua in abbondanza nel corso della giornata (2 litri d’acqua sono un suggerimento sensato) e masticare a lungo ogni boccone, sentendone il gusto e godendone la preparazione.

La sorpresa data dalla masticazione è quella di favorire il dimagrimento e di evitare la fermentazione addominale.

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